La sporcizia delle carni, parte seconda

Sento il vento che scivola tra le dita appoggiate sul volante. Apro il finestrino ancora un po’, riempio i polmoni dell’aria sudicia di superstrada. Sto tornando a casa, è tardi, sento un peso sullo stomaco. Non ho fame ma ho bisogno di calorie per studiare. La delicatezza dei momenti passati fa già parte di un ricordo minato dalla paura di perdere quella che adesso è la sporchissima, dolcissima, mia carne. Ho gli occhi gonfi di stanchezza. È stanca anche lei, ormai so leggerla come fosse un libro, mi sembra di vederla mentre vaga per la città evitando la necessità di prendere un pullman che la riporti a casa. Mi aveva stretto a sé poche ore prima, non so se per amore o per paura.

Tempo fa provavo rabbia verso tutti coloro che facevano del mio amore un pretesto per dibattere su una società che chissà come si regge e va avanti. L’amore che presto o tardi avrei provato è per tanti l’oggetto del perbenismo. Ipocriti. Ipocriti ma pur sempre lontani, estranei alla mia vita. Ed io ero solo una ragazzina pronta a lottare per ciò che ancora non conosceva, ancora gonfia come un rospo, ma pronta a ritrovare la libertà che difendeva quando era una bambina, quando sosteneva fermamente che stupide macchie a spirito potessero essere squali. Ero sicura di poter entrare nella mente degli esseri umani per creare un nuovo mondo, dolce tenacia di un’adolescente. Mi sbagliavo. Ora vivo la quotidianità del disprezzo, sento il mio corpo logorarsi sguardo dopo sguardo e tra una lacrima, una carezza ed un sorriso proseguo nel cammino.

{Sinfonia del nuovo mondo, Adagio, parte seconda

Non ricordo quale fosse il motivo per cui gli squali mi affascinassero così tanto. Pescispada, pesci martello e via dicendo erano ciò che più mi piaceva disegnare. Peccato che ciò che effettivamente mettevo su carta fossero scarabocchi, schizzi confusionari di colore che impregnavano fogli troppo sottili per tutto quell’inchiostro. Una volta la maestra Giovanna mi chiese cosa avessi disegnato. “Uno squalo”, risposi. “Beh, ma qui manca l’occhio”, replicò lei. Mi fece sorridere, perchè in fondo io sapevo benissimo che il mio scarabocchio non aveva nulla a che vedere con uno squaloide, e sapevo anche che ero in grado di fare di meglio, se avessi voluto, ma continuavo a rifiutarmi. Gli squali erano il pretesto per non buttare la mia infantile libertà. Cominciai a disegnare come gli altri compagni più in là, ed ero brava. Pian piano cominciai ad adattarmi ai canoni della vita, ed ero brava anche in quello. Furba, nascosta come una luna in eclissi, consapevole che prima o poi quel lento inganno avrebbe terminato di affilare la sua lucente, accecante lama.}

Sapete che c’è? Non mi interessa creare un nuovo mondo, poiché sento il diritto di esistere in questo, vecchio e meraviglioso. Non ho più voglia di “proseguire nel cammino”, ma muoio dal desiderio di sbilanciarmi talmente tanto da sentire il limite spostarsi, voglio correre il rischio di vedere l’oblio e ridere di lui, così Occhibelli non avrà più paura ed io ritroverò la mia infantile libertà, e tornerò a disegnare squali.

Se le nostre carni sono sporche, allora la realtà è lurida. Ma la catastrofe ci travolge sempre meno. Viviamo in una tempesta e ce la facciamo andare bene, dolce tenacia di due ventenni. Viviamo adesso, adesso che abbiamo tutto il tempo del mondo.

1 commento su “La sporcizia delle carni, parte seconda”

  1. Un curioso incontro tra Oliver Sacks, Jose Saramago e Hermann Hesse che si fondono nella cornice impossibile di un adolescente profondamente riflessiva.
    Sensazioni carnali che trasmutano in ricordi e che ritornano come chiara visione della realtà passando per il filtro universale dell’anima che tutti condividiamo ma che in nessuno è uguale. per questo qui è racchiusa l’umanità intera.
    Bello!

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