Pretese politicamente scorrette e la regola dei cinque pasti

La vita non va a tempo, ma quest’ultimo esiste, e non può non essere così. Il mio corpo cresce mentre fantastico di essere chi poi non sono già più, poiché adesso è già prima.

L’oggettività e la cadenza ripetitiva dei secondi dovrebbero rassicurarmi e invece mi confondono, mi sconvolgono, come una folata di vento distrugge la stabilità di una foglia attaccata ad un ramo in autunno. Ed ecco che realizzo la realtà della mia fermezza: null’altro che una corazza che ho lasciato radicare alla mia pelle, la quale non si è nemmeno indurita, ma appesantita, il cui peso è compensato dal vuoto, dalla povertà della mia conoscenza ed esperienza. Me la sono sempre semplicemente cavata, sembrando, parendo, senza essere davvero.

Desidero molte cose, talmente tante che non so nemmeno da dove cominciare, o forse non ne desidero realmente nessuna, e per questo mi crogiolo nella nullità della mia esistenza.

Sento la necessità di temere che domani il mondo possa interrompersi all’improvviso, senza che io sia riuscita a studiare ed approfondire come dovuto.

Non ho bisogno di sapere quanto lontano una persona dovrebbe arrivare, la mia gara si è interrotta tempo fa, questo, però, è il momento di sentire ogni passo, ogni suono ed ogni parola riempire il mio corpo vuoto, sformarlo, invecchiarlo come invecchia il buon legno che mi seduce e al tempo stesso mi turba ogni giorno come un amore segreto e clandestino.

Non ne uscirò pazza, non fin quando farò cinque pasti al giorno.

Ho paura, e spesso desidero che il mondo si interrompa improvvisamente. Ma il mio corpo cresce, non tradisce più il tempo, la mia anima, ora, deve evolversi ed invecchiare insieme a lui.