La romanticheria del classico che mescola la stabilità del ritmo alla rincorsa affannosa verso l’impercettibile.
La mia, di rincorsa, instabile e per alcuni versi fallimentare, non deve scoraggiare l’estrema ricerca, non può spaventare la bambina che è in me. Ho sempre chiesto il perché delle cose, e quasi mai ho trovato risposta nella loro piena profondità, probabilmente poiché mi sono accontentata di ciò che mi veniva detto e, se non riuscivo a trovare una spiegazione che soddisfacesse la mia mediocre seppur vivida curiosità, storpiavo la risposta del mondo dei grandi per far sì che tutto filasse liscio, per non essere d’intralcio, per assicurarmi un freddo rispetto da chi desideravo me ne portasse.
All’arrivo dell’esattore della crescita, sentivo di dover cambiare per entrare a far parte di una normalità che mi esaltava, che mi rendeva sicura di essere intoccabile, ed ho quindi interrotto le mie infantili ricerche per avviarmi ad un’affrettata autodeterminazione; non mi sento in colpa, ero una bambina e oggi il mondo non smette di ricordare a tutti quanto la diversità comporti l’emarginazione, e non sto parlando solamente della fisicità tangibile, ma anche delle dinamiche delle logiche (che poi sono sempre inevitabilmente diverse). Certo, avrei desiderato che Jo mi salvasse prima che io, piccola Αmy, cadessi nell’acqua gelida, avrei voluto che qualcuno mi ricordasse di pattinare ai lati e non al centro, anche se poi la scelta è stata la mia e forse non avrei nemmeno ascoltato certi consigli.
Mi sono affidata ai fortissimi, i giudici autoproclamati, che mi hanno indirettamente insegnato che mia sorella era talmente perfetta da essere un pericolo da abbattere. Ma la verità è che mia sorella è perfetta proprio perché non si è mai tradita, nella sua infantile debolezza che non le ha permesso di riscattare ciò in cui crede e ha sempre creduto. Si è ammalata di inferiorità, e ancora oggi si affatica di fronte al peso della decisione.
Seppur percepita come una dissonanza, non potrà mai essere incompatibile con questa terra se vi è modellata all’interno, proprio come i giudici, proprio come me, e niente e nessuno possono negarle la dignità dell’esistenza.
È un’allegra molto appassionata, un’onore agli occhi della natura.
Come la mia amica A. D., estroversa e autocentrata come un bambino, tradita solo dal suo corpo, che porta i segni di un’adolescenza terminata, di una maturità mai completamente accolta ma inevitabile nelle forme di una madre in potenza. Spero che il mondo non la costringa a filtrarsi prima di presentarvisi, poiché la sua buffa scorrettezza è l’affermazione di un’allegria terrena e spirituale allo stesso tempo, è l’esaltazione al limite dell’esagerazione di un attaccamento morboso alla semplicità dell’essere.
Ed è quando ho realizzato che la diversità è in realtà normalità, che ho smesso di cercare di essere normale.